“Invia [la Sapienza] dai cieli santi, mandala dal tuo trono glorioso,
perché mi assista e mi affianchi nella mia fatica e io sappia ciò che ti è gradito…
perché un corpo corruttibile appesantisce l’animae la tenda d’argilla opprime una mente piena di preoccupazioni” (Sap 9,10.15).
Ogni epoca storica ha il suo fardello da portare, da sopportare e, si spera, da risolvere.
Crisi politica, immigrazione, guerra, cristiani (o cristianesimo) sotto accusa… temi dei nostri giorni? Sì, ma non solo.
Il V secolo della nostra storia ha visto il cosidetto “Sacco di Roma”, il tramonto di quella che sembrava la città eterna: Roma. L’invasione barbarica ha la meglio sull’impero romano e i cristiani sono accusati dai pagani feriti di esserne in qualche modo la causa. Insomma, storie dei “nostri” giorni.
Agostino (Santo), allora Vescovo di Ippona, consapevole che le vicende del tempo lo trascendono, compone in 13-14 anni una delle sue più celebri opere: “La Città di Dio” che diviene un caposaldo della nostra cultura.
Agostino scrive per respingere le accuse pagane, per rassicurare i cristiani, per favorire la ricerca della Verità evidenziando la presenza attiva della Salvezza nella storia dell’uomo: è la storia della nostra Salvezza.
Nel corso del tempo, la storia dell’uomo (sia come popolo, sia come persona) è caratterizzata dalla presenza della Città di Dio nella città terrena. La Città di Dio, nel contesto del divenire, guarda al suo compimento nell’eternità.
“…mentre nella città terrena essa (la città celeste) conduce una vita prigioniera del suo cammino in esilio, ricevuta ormai la promessa del riscatto e il dono della grazia spirituale come caparra, non dubita di sottomettersi alle leggi della città terrena, con le quali sono amministrati i beni messi a disposizione della vita che è nel divenire…” (CD XIX,17).
Agostino magistralmente dipana la Città di Dio dalla prigionia nella città terrena attraverso la teoria dei due amori.
Da un lato l’amore impuro-privato, dettato dall’amor proprio che vuole per sé quello che giova anche agli altri per realizzare il bene proprio; è l’amore di sé che divide.
Dall’altro lato l’amore puro-sociale, dettato dall’amore di Dio e del prossimo che vuole per sé quello che giova anche agli altri per realizzare il bene di tutti; è l’amore di Dio e del prossimo che unisce.
“Due amori dunque diedero origine a due città, alla terrena l’amor di sé fino all’indifferenza per Iddio, alla celeste l’amore a Dio fino all’indifferenza per sé […] Quella si gloria in sé, questa nel Signore […]” (CD XIV,28).
La due città vivono mescolate, entrambe usano dei beni temporali, entrambe sono colpite dai mali, entrambe usano gli stessi beni. Diversa però è la fede, diversa è la speranza, diverso è l’amore che perseguono, diversa è l’ispirazione che le muove nel tempo.
La Città di Dio in terra è pellegrina ed ha il suo fondamento e fine nella Città di Dio in Cielo.
La pace terrena che l’uomo ricerca è sì il rispetto, l’accordo, l’ordine, l’interesse, la giustizia… ma tutto questo è difficilmente realizzabile se non è subordinato alla pace celeste.
“…[la pace terrena subordinata alla pace celeste] è veramente pace in modo che unica pace della creatura ragionevole dev’essere ritenuta e considerata l’unione sommamente ordinata e concorde di avere Dio come fine e l’un l’altro in lui. […] perché la vita della città è essenzialmente sociale.” (CD XIX,17).
“…la pace della città celeste è l’unione sommamente ordinata e concorde di essere felici in Dio e scambievolmente in Dio…” (CD XIX,13.1).
La pace nella Città di Dio, fondata sulla carità, consiste nella comunità.
Il corpo corruttibile appesantisce l’anima per tutti i problemi di questo mondo, supplichiamo insieme il dono della Sapienza, dono dello Spirito Santo, perché ci assista e ci affianchi nella nostra fatica quotidiana. Aiutiamoci reciprocamente a vivere secondo l’amore di Dio e del prossimo in questa vita terrena.
In questa prospettiva la nostra Koinonia Giovanni Battista (ed ognuno sa se lo può affermare della propria comunità) è per noi la nostra Città di Dio.